lunedì 15 settembre 2008

Don Puglisi...eroe dei nostri tempi!


Ricorre oggi il 15° anniversario dell'omicidio di Don Pino Puglisi, il prete "Antimafia" di Brancaccio ucciso a Palermo la sera del 15 Settembre 1993 da Cosa Nostra, il giorno del suo 56° compleanno.

Avrebbero voluto chiuderlo nella sua chiesa, Don Pino Puglisi, ma non ci sono riusciuti, così hanno dovuto ammazzarlo e se lo sono ritrovati ovunque, nella sua parrocchia di Brancaccio, a Palermo, per le strade, in ogni vicolo, nelle case.

Don Pino è ancora vivo e loro sono in carcere. Vivo nel cuore della gente, vivo perché la sua storia continuano a raccontarla tutti in televisione, al cinema, nei libri.

A Monsignor Bagnasco, il capo dei vescovi italiani, che invitava i cattolici a non lasciarsi “confinare nelle chiese”, Don Pino ha dato una risposta quindici anni dopo che è stato ammazzato.

Quante volte l’abbiamo invocata questa chiesa, quante volte l’abbiamo trovata? E’ capitato, sicuramente. Per esempio nelle parole di un cardinale indignato per lo Stato assente all’indomani di una strage mafiosa, e sopratutto nelle parrocchie di periferia, dove i piccoli preti si trasformano in grandi uomini. Mai abbastanza, comunque.

Don Pino ha reso un grande servigio alla chiesa ed insieme alla sua gente.

Per farlo ha dovuto dire “no” alle piccole prepotenze, alle consuetudini dell’ossequio nei confronti dei boss; è uscito dalla parrocchia ed ha conquistato Brancaccio con le parole della ragione e della fede. Servendosi dei bambini. Ha cominciato con i ragazzi, si è conquistata la loro fiducia e li ha portati in parrocchia con l’intento di farne degli uomini liberi.

Uomo di fede tenace, incapace di compromessi. Non era facile riuscirci, la missione di don Pino non si compiva fra i bambini denutriti dell’Africa dei derelitti, non era l’evangelizzazione degli uomini in terre sperdute, ma la salvezza in questa terra in una grande città di un Paese civile, non la redenzione dell’anima ma la liberazione della mafia, la conquista di una vita normale, in cui i bambini frequentano una scuola e hanno luoghi per giocare, e gli adulti pretendono il riconoscimento dei loro diritti.

Inevitabile che il piccolo prete diventasse un nemico della mafia di Brancaccio. Non era nessuno e non aveva niente da offrire, ma aveva guadagnato la fiducia della gente. Il controllo del quartiere sfuggiva di mano ai boss, la loro autorità era messa in forse. Un giorno dopo l’altro, invece che rispettare, i comandamenti dei capimafia, bambini e adulti imparavano ad ascoltare il piccolo prete dal carattere docile.

Le persiane che si chiudono quando don Pino cerca il volto della gente, la festa di quartiere dopo l’uccisione di Giovanni Falcone, i graffiti “viva la mafia” all’indomani delle stragi, le mogli silenziose e succubi, erano il prezzo da pagare al “film di mafia”.

Un prezzo accettabile.

Don Pino non compie atti di "eroismo", realizza un campo di calcio per i ragazzi del quartiere. Si prende cura dei bambini, non fa miracoli. Dice messa in una chiesa vuota come se avesse davanti a sé una folla di fedeli, e quando la chiesa si riempie ne approfitta per spiegare che il vangelo di Brancaccio non è lo stesso di quello di Roma o Milano, è altra cosa. Il vangelo di Brancaccio pretende che gli uomini, le donne e i bambini alzino la testa e sappiano dire di no alla prepotenza ed al crimine, sappiano conquistarsi ciò cui hanno diritto: una vita degna di essere vissuta.

Il suo ricordo non se ne andrà facilmente. E’ questo, se vogliamo, un miracolo compiuto da Don Pino a quindici anni dalla sua morte.